Introduzione alle Filosofie Orientali: Buddhismo

In questa introduzione abbiamo diviso gli argomenti in :

Storia e Divisioni , che comprende anche Il fine (Illuminazione quale superamento della condizione di sofferenza)ed Il metodo (Ottuplice sentiero),

le scuole (Hinayana, Mahayana, Vajrayana),

alcuni paesi dove si è diffuso il buddhismo in maniera originale (Cina, Giappone, Tibet)

Questo è il periodo in cui vediamo prevalere l’intelletto logico-discorsivo di contro all’intelligenza intuitiva ed ispirata che era prevalsa nei secoli precedenti

  • 523 a.C. bodhi (illuminazione)
  • 532 Pitagora
  • 540 Eraclito ed Eleati
  • 550 circa Confucio e Lao Tzu 

  • Storia e divisioni

    Gaudama Buddha Sakyamuni

    Gaudama = discendente di Godama (saggio vedico)

    Siddhartha = colui che ha realizzato

    Sakyamuni = asceta dei Sakya (famiglia Sakya = Potenti)

    nasce a Kapilavastu, 200 km a nord di Benares probabilmente nel 563 a.C.

    Il termine Buddha non designa un personaggio, ma una serie di maestri che di tempo in tempo, vengono a trasmettere una nuova versione del Dharma (Legge) salvatrice, adattata alle necessità dell’umanità di quel momento storico.

    La tradizione narra che Suddhodana, il padre, temendo che il figlio scegliesse la strada dell’ascesi anziché quello della regalità (era principe designato), lo fece allevare in un parco meraviglioso, in modo che non conoscesse i lati negativi dell’esistenza. Nonostante la sorveglianza dei guardiani però, un giorno Siddhartha uscì ed incontrò un vecchio decrepito, un malato grave, un corteo funebre e quindi un asceta vagabondo ; conobbe quindi l’aspetto tragico della vita, e alla vista dell’asceta capì quale era la via per liberarsi dal destino di dolore che sovrasta tutti gli uomini. Lasciò quindi gli agi di corte ed iniziò la vita ascetica prima come discepolo di Arada Kamala, un maestro che insegnava la pratica meditativa della sfera del nulla, poi con Rudraka Ramaputra che insegnava una tecnica per raggiungere la consapevolezza della volontà oltre lo stato di sonno profondo ma, non soddisfatto, decise di ricercare da solo. Trascorse sei anni compiendo ogni sorta di esercizi ascetici allo scopo di esaurire la rete delle energie vitali, principale alimento della sete di vivere, quindi dell’Illusione ; ad un certo punto si rese conto del fatto che tali esercizi non facevano altro che respingere a livelli sempre più profondi di coscienza gli impulsi e gli istinti che presumeva di sradicare, rafforzandoli (passaggio dalla rinuncia alla moderazione).

    A questo punto, ormai consapevole, si ristora ed inizia la veglia sotto l’albero dell’illuminazione ; nella prima veglia compare Mara, dio della morte e dell’illusione esistenziale, con una schiera di demoni che rappresentano le angosce e le brame insoddisfatte che brulicano nella coscienza profonda, ma Siddhartha li sconfigge evocando l’amorevolezza universale (maitri) ; Mara lo assale nuovamente pretendendo l’illuminazione per sé, ma ancora lo sconfigge invocando la testimonianza della Terra ; infine Mara fa apparire le sue tre figlie, simbolo del piacere del disgusto e della sete di vivere (Trsna), ma sempre invano.

    Allo scopo di visualizzare e realizzare il perché della propria presenza fisica nel mondo passa alle quattro contemplazioni successive nelle quali, si disidentifica dal corpo, dagli oggetti della mente, realizza la coscienza imperturbata da oggetti mentali, e la pura oggettualità del mondo.

    Nella seconda veglia, apertosi l’occhio divino, egli può contemplare infiniti mondi ed infinite creature che, spinte da piacere, dolore, brama, ripugnanza, passano incessantemente da uno stato all’altro, in seguito alle cosiddette cause concatenate (non prese in oggetto).

    Intuita la concatenazione di cause che spingono l’uomo a permanere nel Samsara doloroso ed in-significante, Siddhartha inizia la terza veglia nella quale conosce le Quattro Nobili Verità :

    1. la realtà dell’esistenza e del mondo è dolore
    2. l’origine del dolore è la sete-desiderio di esistere, l’appetito dei godimenti o il loro rifiuto
    3. l’arresto della sete-desiderio (Trsna), che è l’estinzione (nirvana)
    4. la Via che conduce all’estinzione, che è la Legge (Dharma)

    Quest’ultima si articola nell’ Ottuplice Sentiero (astanga-marga) che ha fondamentalmente lo scopo di restituire alla sua purità primordiale, il rapporto conoscitivo tra uomo e mondo normalmente alterato da complessi, pregiudizi, abitudini etc. :

    1. retta visione, per cui si vede la realtà così come è, senza personali distorsioni
    2. retto pensiero, retta rappresentazione concettuale dovuta all’esercizio ininterrotto del controllo del pensiero
    3. retta parola, corrispondenza della parola con l’oggetto, senza enfasi né sciatteria
    4. retta azione, agire quando e quanto sia necessario
    5. retta condotta di vita, mediare tra le necessità della vita fisica ed i fini spirituali che ci si propone di conseguire
    6. retto sforzo, adeguare ogni iniziativa all’importanza dello scopo da perseguire
    7. retta presenza di spirito, costante rammemoramento di quanto si fa e si sente, in modo da essere continuamente presenti a sé stessi (molto importante !)
    8. retta pratica della meditazione, senza sostare su stati d’animo depressi, esaltati etc...

    L’ottuplice sentiero conduce quindi ad una presa totale di coscienza sia interiore, che verso una realtà esteriore obiettiva.

    Successivamente il Buddha si chiese se dovesse rivelare la Via scoperta agli uomini, o rimanere un Buddha silenzioso, così come altri avevano fatto ; la tradizione dice che lo stesso Brahma lo pregò di dare la Buona Legge agli uomini, e così si recò a Benares dove si svolse il famoso Sermone, in cui enunciò i principi della Via Mediana, egualmente distante dalla vita di piaceri e di dolori, l’Ottuplice Sentiero e le Quattro Nobili Verità, iniziando la sua predicazione. Tutte le cose, spiega Buddha, sono prive di essenza poiché traggono la loro realtà da altre cose che ne sono la causa, solo il nirvana sfugge a tale condizione in quanto non è uno stato, ma una condizione (di assenza) ; lo stesso io con cui ci identifichiamo non è altro che una successione di stati di coscienza fondati su sensazioni, parvenze etc.. (non presi in oggetto). Le regole della morale (comportamento quotidiano) attenuano la tendenza a lasciarsi prendere da abitudini ed atteggiamenti, favorendo la calma interiore e la pazienza necessaria per la meditazione ; attraverso questa raggiungiamo la vigile attenzione di quanto si fa e si sperimenta : la meditazione è infatti il nocciolo del buddhismo.

    L’asceta tende a sviluppare stati psichici intensi di identificazione con un tema proposto o una immagine interiorizzata (bhavana), il cui significato è una profonda presa di coscienza o visione di ciò che si compie, che porta al progressivo svuotamento della coscienza stessa e quindi allo stato di nirvana.

    La meditazione si sviluppa su due linee :

      1. samatha, acquietamento o pacificazione
      2. vipassana, visione penetrante o intuizione

    la prima si ripropone di ottenere una condizione di totale trasparenza immota della coscienza, focalizzando l’attenzione su un solo punto e operando una esclusione graduale degli stimoli sensoriali periferici. La concentrazione viene diretta verso una immagine simbolica che serve da supporto per il processo ; questa lascia una traccia appesa nella coscienza del meditante che continua l’atto questa volta sul proprio pensiero (riflesso del riflesso) in cui la cosa si tramuta nel concetto. La mente quindi si purifica dai 5 ostacoli caratteriali che sono : desiderio di essere stimolato, avversione, torpore, irrequietezza, scetticismo e si ottiene la piena concentrazione (assorbimento meditativo) che porta allo svanimento del pensiero logico-discorsivo e del senso di felicità/infelicità, il mondo appare quale è ed il pensiero recupera la sua natura di consapevolezza universale (quello che per i greci era l’ataraxia).

    La seconda è invece fondata su una vigile attenzione dei fatti fisici e dei processi mentali ; questo conduce ad una purificazione del pensiero, dove nascono le prese di coscienza dell’ego, del corpo etc.., che vengono realizzati per quello che sono, e quindi impermanenti, inessenziali ed intrinsecamente dolorosi. Indi si contempla col medesimo distacco l’insorgere e lo svanire, nel cielo della coscienza, dei samskara, elementi della realtà la cui essenza è data dal pensiero stesso che li rappresenta (retrovisione del loro formarsi).

    Si tratta di due discipline complementari, una di raccoglimento ed astrazione della realtà così come si percepisce, l’altra di penetrazione intuitiva della medesima realtà, fino a sperimentarla come vuoto (sunya), inteso come estinzione (nirvana), in cui si attua l’unione tra soggetto ed oggetto della conoscenza.

    Nel Dhamma-pada si legge : <<Gli elementi della realtà hanno la Mente come principio, hanno la Mente come elemento essenziale, e sono costituiti di Mente>> ; è chiaro che lo strumento essenziale del buddhismo per tale ragione è la meditazione, in quanto unico mezzo per operare sulla Mente <<vi sono tre stati della Mente :purità, riflessione e conoscenza ; la mente pura si manifesta come fantasia morale, la mente riflessiva come concentrazione (samadhi), la mente che conosce come sapienza (prajna). Nella mente dominata dalla moralità non si avrà brama, né ira né follia ; se immersa nella meditazione non divagherà ma sarà fissa al Vero ;se è compresa di sapienza non avrà più brama di vita ma sarà stretta osservante dei precetti e della dottrina della Legge.>>

    Il Buddha compie anche alcuni miracoli che simboleggiano il proprio dominio sugli elementi : vince un genio serpentiforme che infestava un santuario (Terra), estingue le fiamme e disperde il fumo di un incendio (Fuoco ed Aria) e cammina con i piedi asciutti sulle acque (Acqua). Nella sua predicazione della dottrina torna anche nei luoghi di infanzia, richiamato dal padre, dove converte molti parenti tra cui anche la matrigna (altre notizie sulla vita non sono state trattate). Morì a Pava all’età di 80 anni.

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    Hinayana (Piccolo veicolo)

    forte impronta morale e rigoroso attaccamento alla Regola dettata dal Buddha (Vinaya), è diffuso in Sri Lanka, Thailandia, Birmania, Vietnam.

    Il testo sacro è il Canone, scritto in Pali e diviso in tre ceste (pitaka) :

      1. Vinaya-pitaka regole per i monaci
      2. Sutta-pitaka detti autentici del Buddha
      3. Abhidhamma-pitaka. scritti riguardanti la metafisica

    Le ceste a loro volta sono divise in mucchi, a seconda della loro lunghezza. Il Dhamma-pada appartiene alla piccola raccolta, ed è considerato il trattato sulla consapevolezza liberatrice.

    Venne codificato in 4 concili (483, 383, 243 a.C. e 144 d.C.), nel primo venne fissato il Canone, tramite il racconto di Ananda, il discepolo che per 25 anni aveva seguito il maestro ; la chiesa era fondata su un Ordine monastico retto da una disciplina severa, ma privo di gerarchia che favorì la nascita di varie sette ; l’ammissione all’ordine non era condizionato dalla casta, ma erano esclusi assassini, debitori, schiavi ed eunuchi. Ogni 15 giorni i monaci si radunavano in una cerimonia nella quale, chi avesse compiuto qualche infrazione, doveva farne pubblica confessione ; altre cerimonie erano scarse e modeste.

    La meditazione è il centro del culto, e questa consiste nel far convergere in un punto solo i 7 fattori dell’illuminazione :

    consapevolezza

    profonda indagine sul Dharma

    sviluppo di energia nel pensare

    gioia profonda

    quiete

    concentrazione

    equanimità

     

     

     

    Il problema che si pose sin dal primo concilio fu quello dei dharma, i minimi elementi della realtà, l’un l’altro connessi dalla legge del karman ; parlando della persona umana il Buddha dice che questa è simile ad una vettura consistente di parti diverse, ruote, timone, telaio..., e di null’altro consiste che di queste, o è simile ad una fiamma, che ad ogni istante consuma nuovo combustibile ; anche l’io empirico quindi è solo una unità funzionale di elementi concomitanti in perenne rinnovamento. Tutta la realtà è null’altro che un atto della mente, essenziata di vuoto.

    Un primo scisma sostenne l’esistenza di una personalità sovraterrena, oltre il tempo e lo spazio, un Buddha archetipale che nel corso degli eoni si proietta nei Buddha terreni per insegnare agli uomini la salvezza (opera dei Mahasanghika).

    Un secondo reintrodusse il concetto di atman sotto il nome di pudgala (persona), responsabile del karman positivo o negativo che si accumula durante le ripetute nascite (Vatsiputriya).

    A queste si oppose la compagine dei Thera o Sthavira che, nel tentativo di arginare le eterodossie e di definire i principi, compilò il Libro delle Controversie (Kathavatthu, terzo libro dell’ Abhidhamma) e la Via della Purificazione (Visuddhimagga), una precisa guida pratica alla meditazione, opera di Buddhaghosa. Il Libro afferma che, pur riconoscendo la totale illusorietà della realtà, questa è l’unica con cui si deve fare i conti ; i dharma sono classificati , secondo la loro sfera di azione, in tre classi : formali, psichici, noetici (coscienza) di cui solo il nirvana è l’unico veramente reale.

    Emerge in questo periodo la corrente dei Sarvasti-vadin così detta perché affermava che tutto è (sarvam asti) , nel senso che i dharma hanno un’efficienza reale nel loro particolare presente, quelli passati sono (non furono) reali nel passato e così nel presente e nel futuro, per mantenere un minimo di realtà della esperienza del mondo e del rapporto di causa-effetto, base della legge del karman. Si distingue quindi tra realtà empirica dei dharma, relativa al soggetto che li sperimenta, e realtà in sé, che trascende il momento particolare della apparizione dei dharma sull’orizzonte della coscienza ; questo perché tutta l’esperienza che si ha del mondo è di tipo soggettivo, qualsiasi evento che mi appaia è un simbolo del destino che mi sono foggiato in questa o nelle precedenti vite ed ha quindi realtà e non realtà.

    I Sarvasti-vadin segnano il trapasso da una prassi etico-ascetica ad un sistema filosofico-metafisico coerente, che si immette nella corrente del pensiero indiano, in quel momento intenta a delineare i caratteri fondamentali dei suoi sistemi (Sei Darsana). A parte il proprio Abhidhamma, scrissero il Grande Commento (Maha-vibhasa) al Sistema della Conoscenza ed il Tesoro di Metafisica (Abhidhamma-kosa) ad opera del loro maggior pensatore Vasubandhu. Dopo lo sviluppo della scuola Sarvasti-vada, lo Hinayana sembra poco per volta raccogliersi nel quadro dogmatico edificato nei concili, consacrato alla stretta osservanza del Vinaya, ma privo dello spirito missionario.

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    Mahayana (Grande veicolo)

    storicamente si diffuse fuori dall’India, nell’Asia centrale, Tibet, Mongolia, Cina, Giappone e Corea, ed intendeva estendere il beneficio del Dharma al di là della chiusa cerchia degli arhant (asceti), a tutta la collettività laica dei fedeli. Essi notarono che gli arhant pativano in vita di limiti di conoscenza, di capacità di giudizio e di necessità fisiche, per cui era dubbio che avrebbero raggiunto il nirvana all’atto della morte, ed introdussero l’originale concetto di Bodhisattva, essere che, giunto alle soglie della Liberazione, la rimanda indefinitamente finché tutta l’umanità del suo evo cosmico non sia stata totalmente illuminata dal Dharma ; egli vive in mezzo agli uomini partecipando delle loro sofferenze e miserie senza che però la sua immacolata purezza interiore ne sia macchiata, e consapevole che tutte le forme di esistenza e di esperienza sono solo vuoto (sunya). Il nirvana, per essere tale, deve investire finalisticamente tutta l’umanità, e non essere esperienza di un essere che ha preso coscienza della propria perfezione.

    Per quanto riguarda il progresso interiore del Bodhisattva, si distinguono dieci gradini di perfezione o terre : paramita (dono), dana (distacco dal possesso), sila (morale), ksanti (sopportazione), virya (energia virile), dhyana (meditazione), prajna (conoscenza superiore), alle quali si ferma, essendo le altre 4 relative agli stati incondizionati, per opera della compassione verso gli altri uomini. Difatti i due poli della dinamica spirituale del Bodhisattva sono la sapienza (prajna) e la compassione (karuna), metafisicamente concepiti come i principi maschili e femminili attraverso cui si esprime la Realtà Suprema. La bodhi (illuminazione) rappresenta il nucleo sovrasensibile dell’essere umano, e questa medesima, sotto forma di bodhi-citta (pensiero dell’illuminazione) si manifesta come l’impulso che muove ognuno di noi a reintegrarsi al suo vero essere, nella sua personalità empirica. La teoria del vuoto (sunya-vada) sostituisce la concezione del nirvana e diviene il centro della dottrina Mahayana ; questa si realizza meditativamente con l’abbandono di qualsiasi idea definita di luogo, spazio o tempo, indi sospendendo qualsiasi limite tra distinzione e non-distinzione fino a che non si resti concentrati su un qualcosa totalmente privo di carattere, ed infine abbandonando anche questo quid concettuale, per sperimentare il vuoto, liberazione totale, che si tramuta in interiore illuminazione. Ma più che su un piano metafisico, viene sviluppato sul piano umano e terreno l’elemento della volontà attiva, una energica compassione (karuna), che è lo strumento per la realizzazione della Gnosi (prajna), ovvero consapevolezza della non-distinzione delle singole forme di vita ; quindi non movimento spirituale che parte dalla personalità empirica ed arriva alla Realtà assoluta, ma svelarsi, progressivo od improvviso, della Realtà assoluta nella personalità empirica, e nel risolversi di questa in quella.

    Lo Hinayana attribuisce la realtà ultima delle cose ai dharma, punti istante di esperienza, fattori isolati di brevissima durata e la cui esistenza è vicendevolmente condizionata, privi quindi di propria essenza ; il Mahayana, partendo da questo assunto che ogni elemento della realtà è tale solo in rapporto ad altro diverso da sé, giunge a concepire come Supremo Vero ciò che trascende tutti i dharma e le loro relazioni, quella quiddità (tathata) che si pone oltre la molteplicità e l’opposizione di samsara e nirvana.

    Il termine "Via di mezzo", coniato da Buddha per significare che la sua Via era lontana dagli opposti eccessi, viene inteso come superamento di asserzione e negazione ; esistono cioè due piani, uno in cui bisogna vivere assennatamente e moralmente assumendo il mondo come reale (verità velata), ed un altro superiore sul quale è possibile sperimentare il vuoto che è dietro ogni cosa. Questo è lo sunya-vada di Nagarjuna, dottrina già esposta coerentemente nei testi di origine sconosciuta Prajinaparamita (Perfezione della gnosi), e da lui riassunta nei versi della Madhyamaka-karika (Versi della dottrina di Mezzo), nei quali riduce ad absurdum tutti gli insiemi di concetti ed idee. Anche i dharma, che avevano una parvenza di realtà, vengono ridotti a pura illusione e di fronte a questa apparente molteplicità che in sé non sussiste, l’atteggiamento del saggio è quello del silenzio ; ed è solo ammettendo un valore propedeutico di una verità strumentale, al quale il pensiero discorsivo appartiene, che si giustifica l’utilizzo del pensiero medesimo. Per tale teoria Nagarjuna venne considerato il continuatore del Buddha, colui che mise in moto per la seconda volta la Ruota della Legge.

    Una terza messa in moto viene attribuita alla scuola Vijnana-vada (Teoria della Coscienza) o Yogacara, i cui fondatori sono il Maestro Maitreya, ritenuto una proiezione terrestre dell’omonimo Buddha venturo, ed i suoi discepoli Asanga e Vasubandhu ; ed i cui testi fondamentali sono il Sutralankara e il Madhyanta-vibhaga. Vasubandhu  è lo stesso pensatore che in gioventù apparteneva alla scuola Sarvasti-vada e che, per incitamento del fratello Asanga, riassunse i capisaldi della dottrina in cui si afferma che tutto l’esistente è soltanto atto di coscienza. La dottrina parte da un esplicito insegnamento del Buddha che postula l’impermanenza di tutte le cose, sia il mondo esteriore come aggregato di dharma, sia il soggetto della sua esperienza quale insieme karmico dei 5 skandha. Rimane quindi sicura solo una certa continuità di coscienza come supporto del mondo o meglio come sostegno della sua esperienza ; essi sostengono che non si può conoscere nulla se prima non si possiede, almeno come principio, la coscienza di sé, per cui l’autocoscienza è il solo mezzo per approfondire la conoscenza di sé e del mondo. Da questo ad affermare che tutto il conoscibile altro non è che una obiettivizzazione di un pensiero universale (e il soggetto che lo concepisce è una autolimitazione soggettiva del medesimo pensiero) non vi è che un passo. Ora noi tutti abbiamo allo stato di veglia 5 forme di coscienza, relativi ai 5 sensi, più una sesta per cui siamo coscienti di pensare ; al di là di queste vi è quella relativa continuità di personalità che sussiste dopo le interruzioni date dal sonno, svenimenti, catalessi etc.. ; questa settima forma di coscienza che garantisce la continuità ininterrotta dell’esistenza empirica dell’ego, postula una ottava forma, sintesi di soggetto conoscitore e mondo conosciuto, altrimenti non vi sarebbe alcun collegamento fra i due poli di conoscenza. Questa ottava, che abbraccia e rende possibili tutte le altre forme di coscienza, è la cosiddetta Coscienza-deposito (alaya-vijnana), che costituisce il fondo invariabile ed immacolato della realtà universale. Lo strumento per il raggiungimento di questo ottavo stato di coscienza è la pratica meditativa dello Yoga, così come viene esposto nella Mandukya-upanisad ; si tratta di realizzare la condizione di veglia totale durante lo stato di veglia e di realizzare lo stesso negli stati di sogno e sonno profondo, fino a giungere meditativamente a quel livello che corrisponde allo stato di catalessi, durante il quale sono sospesi i rapporti con il mondo esterno. Penetrare coscienti e svegli in questo stato significa unificarsi interiormente con lo alaya-vijnana, realizzando quello stato ineffabile di trans-vuoto, oltre nirvana e samsara ; alaya-vijnana è la vera base del Reale, in quanto nulla può divenire oggetto di una coscienza se in lei già non esiste. Tutto il reale è concepito secondo tre piani :

      1. immaginario-dialettico (parikalpita), per cui nella vita ordinaria abbiamo a che fare con una immagine del mondo pietrificato nella sua apparizione sensibile, ed il pensiero ne studia i nessi meccanici
      2. relativo (paratantra), in cui si concepisce la reciproca relatività e dipendenza fra tutti gli elementi della realtà (dharma), ed il pensiero si fa intuizione
      3. assoluto (parinispanna), erompe a livello estatico, ed il soggetto è contemporaneamente oggetto di sé stesso.

    Questa esperienza è correlata alla realizzazione dei tre corpi del Buddha : nirmana-kaya, corpo fenomenico o di apparizione, che è la parvenza fisico-sensoriale in cui egli manifesta il Dharma secondo le necessità dell’umanità dell’epoca ; sambhoga-kaya, corpo di partecipazione o comunione, al cui livello i Bodhisattva operano dinamicamente per il risveglio dell’umanità ; dharma-kaya, corpo della legge, sul quale vigono i Tathagata archetipi del Dharma, in cui ogni relatività si trova dissolta nell’identità con sé stesso dell’Assoluto. Nelle scuole gnostiche viene postulato un quarto corpo, sahaja-kaya, corpo connaturato, che rappresenta la presenza della totale buddheità in ognuno dei tre corpi precedenti, nel senso che la Bodhi, seppur celata dall’Illusione, è sempre immanente e quindi presente in potenza. Questo livello si raggiunge quando si attua la revulsione dell’appoggio (la coscienza discriminante e separante) e ci si apre alla Realtà che è la condizione per essere ciò che si è (tathata). Si tratta di un approccio al problema della conoscenza quale elemento primario per la Salvezza, sviluppato da Dinnaga (450 d.C.) e Dharmakirti (650 d.C.), che distingue due momenti nella conoscenza empirica : nel primo si percepisce la cosa in sé, con i suoi infiniti collegamenti con l’universo intero ; nel secondo questa intuizione viene sostituita da una immagine soggettiva che è la risultante degli impulsi psichici innati o inveterati. Per questo motivo il pensiero logico-discorsivo, fondato su definizioni e delimitazioni, designa ciò che le cose non sono, poiché ha come oggetto le differenze specifiche fra le cose stesse, mentre l’uomo abituale assume queste differenze come le cose stesse (prende il limite per il contenuto). La avidya, ignoranza, consiste nell’assumere il mondo come un insieme caotico di dati ed elementi conoscibili da mettere insieme esteriormente mediante il pensiero razionale.

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    I movimenti gnostici del Mahayana (Tantrismo e Vajrayana)

    Questa è l’ultima grande trasformazione del buddhismo in terra indiana, ed è considerata la terza messa in moto della Ruota della Legge. (Scuola del Vuoto...sunya-vada, Null’altro che Coscienza...Citta-matra o Vijnana-vada) . Si diffuse principalmente in Tibet e fu designata Tantra, termine che inizialmente significava trama, ordito e per estensione divenne insegnamento segreto, spesso diretto ad ottenere poteri magici (siddhi). I tantra si giovano delle collaudate discipline Yoga, sia quello classico di otto membra (astanga) che quello settario di sei (sadanga) nelle varietà di Hatha e Laya Yoga, le quali mettono in opera forze psico-fisiche onde spezzare il limite costituito dalle strutture corporee e mentali determinate dal proprio karman. Il mondo è luogo di Realizzazione e Liberazione e, mentre nello Hinayana nirvana è un termine negativo in quanto non designa una cosa ma la sua estinzione, la bodhi è invece la visione del mondo propria dei Buddha, esperienza interiore di assenza di essere che porta al sunyata. Questa esperienza conduce il meditante a svincolarsi dalle false concezioni circa l’esistenza del proprio ego e del mondo quale ha schematizzato, sperimentando la coscienza assoluta che null’altro contiene che se medesima. Una volta avuta questa esperienza di insussistenza della realtà, non si è più soggetti all’illusione ed anche il karman si inibisce, buono o cattivo che sia, per cui si è oltre la disciplina e la morale.

    In genere un tantra budd. consiste in un testo liturgico attraverso il quale viene impartito un insegnamento segreto ; non un insieme di nozioni, ma una conoscenza non logica e non intellettuale il cui accoglimento produce una trasformazione profonda nell’iniziato. Ricevuto il battesimo sacro, l’iniziato deve fare il cammino vero e proprio da sé, creandoselo. Per esempio in uno di questi tantra abbiamo una rivelazione misterica accompagnata da una liturgia mediante la quale il meditante rivive dentro di sé il dramma cosmico per il quale, da una primordiale ed eterna luce incolore di coscienza, è stata portata ad essere l’infinita varietà del Reale ; l’iniziato percorre a ritroso tale processo di emanazione sì da giungere ad identificarsi interiormente con quella coscienza luminosa anteriore alla manifestazione ; il Buddha di questa contemplazione non è lo storico Sakyamuni, ma il principio-Buddha o Tathagata-garbha. (Classi e tipi di tantra non sono stati presi in considerazione.)

    A correlazione dei tantra vi sono sempre dei disegni chiamati mandala (orbe, cerchio), raffigurazioni ordinate attorno ad un cerchio che rappresentano le idee contenute in quel determinato tantra. Questi non hanno solo uno scopo mnemonico e didattico, ma costituiscono un vero e proprio supporto meditativo per il monaco, che fissandolo può arrestare il flusso automatico del pensiero, per concentrarlo sulla verità simboleggiata. Schematicamente al centro è raffigurata una divinità accoppiata alla sua paredra (sakti, sposa o potenza), che ne esprime la potenza ed efficienza. La figura maschile rappresenta il piano della Gnosi (prajna), quella femminile il mezzo (karuna), mentre gli altri 4 Tathagata sono disposti ai punti cardinali (5 Tathagata archetipi del Dharma) ; verso l’esterno troviamo 4 porte ad ognuna delle quali presiede una figura terrificante o Loka-pala (guardiano del mondo) che interdice l’accesso a tutto ciò che non appartenga alla sfera della magia. Il quadrato della raffigurazione è iscritto in un cerchio che simboleggia l’infinito. I mandala sono numerosissimi e si suppone che il neofita passi attraverso l’esperienza di diversi successivi mandala subendo una purificazione ed illuminazione, prima di arrivare a quello che sintetizza l’insieme delle esperienze proprie alla particolare scuola seguita. La pratica meditativa del mandala è accompagnata dalla formulazione di monosillabi sacri detti mantra (pensamenti, inno sacro, scongiuro), i quali provocano arcane risonanze sì da aprire lo spirito del meditante al significato delle realtà mistiche alle quali si avvicina. Essi hanno lo stesso scopo simbolico dei mandala, ma mentre questi agiscono sul piano visivo, i mantra agiscono sul piano uditivo. Simile al mantra è il cosiddetto bija (seme), oggetti anchessi di meditazione estatica e simboleggianti le varie potenze efficienti, ovvero petali del loto o raggi dei cakra che costituiscono i plessi dinamici del corpo sottile, proiezioni di figure divine entro il microcosmo umano. La pratica dei mantra e dei bija è accompagnata da posture (asana) e da gesti rituali o sigilli (mudra). Questo complesso rituale tantrico, particolarmente curato presso il lamaismo tibetano, esprime un insieme di corrispondenze armoniche tra il piano divino e quello terrestre, tendendo a cosmicizzare pensieri, parole, gesti e funzioni vitali.

    La sintesi estrema tra le due scuole mahayaniche , sunya-vada e vijnana-vada, congiunta alla pratica del tantra fu conseguita dalle varie scuole che fanno capo al Vajra-yana, Veicolo della Folgore o del Diamante. Vajira è il simbolo della Conoscenza Suprema (prajina) mentre la campanella (ghanta) usata nella liturgia tantrica è l’emblema della insostanzialità di tutte le cose (upaya), cioè il mezzo per realizzare la bodhi. Il Vajira ebbe grande parte nella conversione al buddhismo del Tibet e, durante la dinastia T’ang, anche della Cina e dell’Indonesia; annovera grandi personaggi tra i suoi maestri quali Indrabhuti, re dello Swat, sua sorella Laksmikara ed il suo discepolo Padmasambhava, Nagarjuna (II), e Nagabodhi i cui tre discepoli più famosi, Vajrabodhi (670,741), Amogavajra (705,774) e Subhakarasimha (637,735), furono missionari. L’insegnamento di questa scuola altamente esoterica è fondato su due cicli di esperienza esposti rispettivamente nel Tantra Maha-vairocana-abhisambodhi-sutra e nel Tattva-samgraha corredati, il primo da 2, il secondo da un mandala, che raffigurano il processo di manifestazione dalla Coscienza Cosmica alla molteplicità degli esseri e, di converso, il processo di riassorbimento di questi entro la Coscienza da cui sono stati emanati (Vajradhatu-mandala, mandala della sfera adamantina, e Garbhadhatu-mandala, mandala della sfera embrionale). Questi due cicli hanno come figura centrale Vairocana, che rappresenta il punto centrale di passaggio dalla Coscienza immanifesta al mondo manifesto e viceversa.

    Più originale è l’altra forma di Vajira-yana, detta della mano sinistra, i cui testi sono Guhyasiddhi (la Perfezione occulta, di Padmavajra), Prajnopaya-viniscaya-siddhi (Perfezione della scelta di Gnosi e Mezzo, di Anangavajra), Jnana-siddhi (Perfezione della Conoscenza, di Indrabhuti) ed Advaita-siddhi (Perfezione della non Dualità, di Laksmikara). A parte il simbolismo a volte crudemente sessuale, significante l’unione fra Gnosi (prajna) e Mezzo (upaya), da cui scaturisce la Grande Beatitudine in cui si attua l’illuminazione, l’insegnamento si attua secondo il principio di utilizzare qualsiasi attività della mente, del corpo e dell’anima, allo scopo di procedere sulla via verso l’illuminazione, tenendo presente che questa è presente in ogni pensiero, sentimento, atto etc.. (similmente nello Zen). Si tratta di obiettivare questi accadimenti, meditarli come se non fossero nostri in modo da strapparli dalla presa dell’ego e recuperarli come Potenze cosmiche creatrici di realtà. Ciò naturalmente capovolge il comune approccio morale, e la trasgressione diventa trascendimento della condizione samsarica. Sin dall’insegnamento del Satipatthana (Via verso il Rammemoramento) risalente al Buddha, l’attenzione totalizzante e l’obiettivazione di ogni accadimento è stato costante nel buddhismo e ne ha costituito un valore centrale, ma nei sistemi tantrici è il cardine di tutta la pratica, rispetto alla quale la disciplina morale ha una importanza puramente propedeutica.

    Altra scuola simile al Vajra, fiorita in India fra il Ve l’VIII sec. è l’Avatamsaka, dal titolo del testo al quale si ispira (l’Avatamsaka-sutra, sutra dell’Ornamento) ; questa scuola insegna che in ogni minimo elemento della Realtà è presente l’Universo intero, nel senso che la vacuità, sunyata, è immanente all’apparire illusorio del Mondo. Di conseguenza non occorre evitare l’azione ed astrarsi dal mondo, bensì immergersi nel suo divenire e realizzare il vuoto che lo trascende, le passioni si tramutano in Potenze che l’asceta sperimenta nella sfera che loro è propria e non secondo la loro risonanza nell’ego.

    Il Sahaja-yana invece, è una setta esoterica i cui personaggi principali, gli 84 siddha, sembrano coincidere con gli altrettanti Natha, capiscuola di sette tantrice hindu, fortemente impregnati di elementi devozionali (bhakti), e che si diffuse in Tibet ad opera di Lui-pa e Srijnana. Saha-ja, il Connaturato, è il fondo inalterabile della realtà che si attua come cosmica, luminosa Consapevolezza. In ogni istante del nostro pensare, percepire e volere, questo principio innato si invera come folgorante consapevolezza che conferisce spessore di realtà a ciò che si sta sperimentando e lo attribuisce ad un soggetto ; inoltre, essendo tale principio la sostanza dell’esperienza, ne è anche l’atto per cui essa si discioglie nella vacuità nel momento in cui viene conosciuta, diventando significato puro, archetipale. Di per sé non è una cosa, bensì un lampo di pensiero autocosciente che dà luogo al prodursi del concetto che emerge dalla vacuità come esperienza pura del possibile oggetto (Carya-pada, versi della disciplina). Il fine ultimo è quindi la realizzazione della vacuità, che si estrinseca in 4 momenti, vuoto (sunya), transvuoto (ati-sunya), megavuoto (maha-sunya), omni vuoto (sarva-sunya) che ora non vengono presi in considerazione. Nello Hevajra-tantra il Maha-sukha, Grande Beatitudine seme di ogni realtà e realizzazione del quarto momento, viene indicato come il ricordo di una Beatitudine pre-esistenziale, e giustifica l’importanza che viene attribuita all’esperienza fisica del mondo ed al suo trascendimento mediante la pratica dello Hatha-yoga, i cui fondatori, Goraksanatha e Matsyendranatha, sono considerati i capostipiti spirituali di tutti i siddha, sia hindu che buddhisti. Nel Kalacakra-tantra si ricorda addirittura che : ....senza il corpo non vi può essere perfezione, né la Suprema Beatitudine può essere conseguita in questa vita. L’esperienza, dapprima mentale, indi immaginativa, successivamente intuitiva e alla fine estatica della vacuità, costituisce la base di questo capovolgimento dei valori per cui il corpo, già considerato ostacolo per l’ascesi, ne diviene il mezzo. Seguendo l’indicazione dei testi, la sunyata viene realizzata : come vacuità del mondo delle forme, indi a livello di suono, a livello di puro pensiero privo di qualsiasi contenuto ed infine come sintesi a priori di conoscenza ; queste 4 tappe della meditazione sono denominate le 4 mudra (sigillo) o collettivamente Maha-mudra (Grande Sigillo), che è la totale vacuità che si invera in noi come essenza della propria mente.

    Ultima scuola tantrica è quella del Kalacakra, la Ruota del Tempo, fiorita in India verso il 1000 ; secondo essa la suprema realtà è Kala (il tempo) archetipo, quello che già l’Atharva Veda celebrava come Dio ; esso si manifesta contemporaneamente come Ruota del Tempo Esterna, che palesa la vicenda universale scandita da cicli cosmici, e quella Interna, che è la realtà interiore psicofisica di ogni essere umano. La pratica yoga di questo sistema consiste nell’interiorizzazione meditativa dei 10 principi cosmici (bija o semi della Ruota del Tempo Esterna), sì da instaurare una Ruota del Tempo Alternativa mediatrice tra le due ruote summenzionate. In altri termini, più che mirare a trasformare eticamente l’uomo sì da fargli raggiungere un certo distacco dal mondo, qui si cerca di instaurare coscientemente una armonia tra i principi esteriori che lo trascendono, e quelli interiori che reggono il piano vitale e psichico. I 10 semi sono : vento, fuoco, acqua, terra, il monte Meru, rupa-dhatu (sfera formale), arupa-dhatu (sfera informale), luna, sole e nada (suono primordiale).

    Con la crescita e la diffusione dei sistemi tantrici, il buddhismo diventa una religione nella sua triplice dimensione : meditazione filosofica, metafisica della conoscenza, devozione mistico-religiosa.

    La prima è la razionalizzazione del messaggio originale del Buddha, scevro come è di trascendenze e di speranze ;

    la seconda la realizzazione concreta dell’identità tra soggetto ed oggetto che si attua in ogni istante del nostro conoscere ;

    la terza si rifà all’esperienza indiana della bhakti, cioè del partecipare emotivo alla natura del Dio, mediante un atto di profondo abbandono

    Ma al contempo esaurisce la forza creatrice ed innovativa in India, dove il popolo comune preferì rivolgersi di nuovo verso le antiche religioni, probabilmente alla ricerca di conforto e di speranze ultraterrene. Lo stesso Dharmakirti, assieme a Nagarjuna, Aryadeva, Asanga, Vasubandhu e Dinnaga una delle sei glorie della Legge, osservava sconsolato come il popolo seguisse con entusiasmo le favole epiche e religiose dell’antica tradizione e criticasse gli scritti di filosofi che indicavano i compiti di un uomo cosciente ansioso di liberarsi dal vincolo del samsara.

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    Buddhismo in Cina

    Buddhismo e Taoismo, movimenti spirituali che distaccano l’uomo dalle cure civili e politiche, hanno avuto maggiore successo in epoche di dominazione di dinastie straniere (definiti quietisti); i sistemi religiosi classici ed il Confucianesimo, che impegnano attivamente l’uomo a creare sulla Terra un riflesso fedele della Legge del Cielo, in quelle di dominazione cinese.

    La diffusione in Cina avvenne per tre fattori : conquiste e guerre che portarono al mescolamento di razze e stirpi ed alla introduzione di prigionieri di fede buddhista ; a precisa volontà politica di conoscere costumi e credenze dei popoli barbari delle frontiere ; all’arrivo di missionari che affrontarono l’arduo compito di portare in cinese concetti totalmente estranei alla mentalità di quel popolo, come il distacco dal mondo e la rinuncia a formare una famiglia, uno dei pilastri della moralità cinese. Fu necessario un totale ripensamento cinese del buddhismo perché questo si potesse affermare, e lo stesso Buddha fu per lungo tempo creduto uno dei 29 discepoli di Lao-Tsu, maestro di Taoismo che scomparve in sconosciute terre di occidente ; per questa ragione fu adottata la terminologia taoista per la traduzione dei testi indiani. Il vero ripensamento cinese del buddhismo avvenne quando il principe indiano Kumara-jiva (344-413) venne condotto prigioniero in Cina e divenne, dopo poco tempo, direttore dell’insegnamento dell’impero, per via della vasta e profonda preparazione letteraria e religiosa. Sintesi vivente delle due civiltà, fu in grado di rendere ai cinesi il senso originario delle opere buddhiste, fino ad allora interpretate secondo le categorie proprie dell’esperienza filosofica del celeste impero; si passa quindi dalla fase di interpretazione a quella di elaborazione originalmente cinese, attraverso soprattutto l’opera dei suoi due discepoli principali: Seng Chao e Chu Tao-sheng.

    Seng Chao, prima di abbracciare il buddhismo, aveva studiato profondamente Lao-Tzu e Chuang-tzu e la dialettica negativa del taoismo, così simile a quella del Mahayana; in particolare condusse alle estreme conseguenze la dialettica dello yu (esserci in senso topologico) e del wu (non esserci) combinandola con la doppia verità di Nagarjuna (verità contingente ed assoluta). In sostanza si riconosce che ciò che rappresenta la verità più alta ad un livello comune è la verità inferiore ad un livello più alto; esempio: riconoscendo la mutabilità delle cose ad ogni istante, si dice che c’è mutamento e non permanenza, riconoscendo invece che ogni cosa in ogni istante permane in quell’istante, si afferma che c’è permanenza e non mutamento. Pertanto ad un livello più basso la doppia verità consiste nel riconoscere che le cose sono sia yu(permanenti) che wu (impermanenti); ad un livello più alto, trascendendo questa dualità, si afferma che le cose non sono né permanenti né mutevoli. La prajina quindi non è conoscenza, in quanto questa consiste nel riconoscere le qualità distintive degli oggetti della conoscenza medesima; essa ha per oggetto ciò che trascende forme e fattezze e quindi il wu; l’identificarsi con il wu è il raggiungimento del nirvana (oggetto della conoscenza non gli oggetti ma le differenze tra questi, riecheggia Dharmakirti). Ad un terzo livello di verità, riconosciuto che nirvana e prajina sono due aspetti della medesima realtà, priva di soggetto ed oggetto, si entra nella condizione di perfetto, profondo silenzio.

    Chu Tao-sheng affrontò principalmente tre questioni:

      1. ogni essere vivente ha la natura del Buddha, non ne è consapevole ma la raggiungerà se non in questa in un’altra vita, le scritture sono infatti solo strumenti provvisori per il raggiungimento della Verità, ed appena raggiunta queste diventano superflue; sperimentata la buddheità il mondo fenomenico e la realtà assoluta coincidono in un atto continuo (tesi sviluppata dalla scuola Ch’an).
      2. una buona azione non comporta ricompensa; se si opera senza attaccamento, secondo i principi del wu-wei (non azione) e del wu-hsin (non intenzione), secondo la pura spontaneità, l’azione si reintegra alla sua sfera di pura libertà ed il karman di chi agisce non ne viene toccato, né in positivo né in negativo. (tesi scandalosa per il tempo e la morale vigente)
      3. l’illuminazione è un atto istantaneo, fuori dal tempo cronologico, che non ha alcun rapporto con la disciplina seguita per suscitarlo.

    Le scuole filosofiche buddhiste che si crearono furono otto:

      1. Lu Tsung (Risshu in giapponese), priva di originalità era intenta solo alla disciplina del Vinaya
      2. San-lun (sanron, tre testi), era fondata sui tre testi fondamentali del Madhimaka e praticava lo svuotamento della mente da qualsiasi pensiero, di modo che la coscienza sperimentasse lo sunya
      3. Wei-shi (hosso), idealismo soggettivo, seguiva lo Yogacara (Vijnana-vada) ed introduceva nella speculazione cinese il tema del mondo come idea soggettiva di esso.

    Queste prime quattro si estinsero nel giro di poche generazioni, continuando invece in Giappone

      1. Mi-tsung (shin-gon, scuola dei misteri o dei mantra), di tipo liturgico ebbe successo presso la corte imperiale non tanto per la dottrina, quanto per l’effetto magico che si attribuiva alle cerimonie che erano di tipo tantrico. Fu introdotta in Giappone da Kobo-Daishi
      2. Hua-yen Tsung (scuola della ghirlanda), ogni minimo elemento della realtà contiene tutta la Realtà (Avatamsaka) in quanto gli è immanente il vuoto che è la vera essenza del reale
      3. T’ien T’ai (tendai), ha come testo il Loto della Vera Legge ed afferma che ogni cosa contiene il principio assoluto della buddheità , la Mente, cui dà il nome di Tathagata-garbha (germe del Tathagata). Questo emana contemporaneamente il cosmo trascendente degli archetipi e questo mondo, perciò gli eventi risultano l’un l’altro integrati in quella che riteniamo essere la legge di causa ed effetto. Il conseguimento del nirvana non estingue la realtà del mondo fenomenico, essendo entrambi due aspetti di una unica realtà; questo giustifica l’attività a favore dell’ordine sociale e per ciò fu ben accetta ed incoraggiata in Cina. In Giappone fu introdotta dal monaco Dengyo Daishi.
      4. Ch’ing-tu (jodo, della Terra Pura), scuola emotiva e devozionale che si riassume in un devoto abbandono al Buddha della Luce Infinita (Amitabha), l’articolazione del cui nome opera magicamente per la salvezza del credente. Questa teoria, in cui si fondono i concetti di grazia e mantra, ha origine da una leggenda in cui si narra che il Bodhisattva Dharmakara, nell’atto di diventare il Tathagata Amitabha e stabilirsi nella Terra Pura di Occidente, esprimesse la promessa di venire in aiuto di chiunque l’avesse invocato. Interpretazione: A) ricerca interiore della Terra Pura che ognuno reca sconosciuta in sé, non quietismo speranzoso; B) fiducia che alla morte l’adepto sarebbe rinato nella Terra Pura, da cui sarebbe stato molto più facile raggiungere il nirvana. Questa setta ebbe una grande forza culturale ed artistica ed il dio della Medicina o dallo sguardo misericordioso, una emanazione di Amitabha, divenne nel corso dei tempi il protettore del Tibet.

    Tutte queste scuole presupponevano, fino ad un certo punto, una certa identificazione fra il pensiero logico-discorsivo, mediante il quale viene strutturata l’idea dell’illuminazione, e la prassi meditativo-estatica che la realizza praticamente. Questo in quanto si ritiene (ingenuamente?) che l’atto di conoscere la virtù equivale praticamente a realizzarla, per cui il filosofare si sovrappone al realizzare. A liberare l’orizzonte da immaginazioni mistico-religiose ed astrattezze filosofiche interviene

      1. Ch’an (zen, meditazione), fondata sulla meditazione pura e semplice, è immersa nella realizzazione pratica alternata all’attività di lavoro materiale (le altre vivono di elemosina) possibilmente dura e faticosa, così da liberarsi da qualsiasi costruzione mentale. I principi sono semplicissimi:

        1. il principio assoluto della Realtà, a cui si tende, è inesprimibile e non può quindi divenire oggetto di un pensiero qualsivoglia. La meditazione deve partire dal vuoto mentale e consiste nel rendersi progressivamente consapevoli del principio illuminativo presente nella pura attività del pensare -senza oggetto- fino ad un punto di rottura della comune coscienza di veglia, oltre il quale si perviene al vuoto (sunya) che non cancella, bensì trascende ogni istante della nostra vita empirica.
        2. la meditazione deve essere senza intenzione, poiché anche la più nobile cancellerebbe il fine assoluto a cui si tende. Un eventuale oggetto di contemplazione serve per la messa in moto di una attività meditativa che, nel momento successivo, sperimenta se stessa contemplandosi. (Il maestro vedendo il discepolo meditare per ottenere la bodhi gli si mise accanto lucidando un mattone, dicendo che ne voleva fare uno specchio; significando l’impossibilità di una meditazione fondata sull’attaccamento a qualsivoglia oggetto, bodhi compresa).
        3. la realizzazione della bodhi non cancella né contraddice il mondo della comune esperienza, gli conferisce invece il suo vero significato, in quanto permette di sperimentare le cose come sono in realtà (vuoto) e non secondo una escogitazione mentale del soggetto; da ciò la naturalezza e spontaneità di vita del praticante che non contrappone samsara e nirvana, ma trascende il significato delle cose.

    E’ caratteristico delle sette ch’an la meditazione su una serie di paradossi (koan), frasi apparentemente prive di senso, sulle quali il discepolo si concentra intensamente, fino a conseguire una intuizione transrazionale che, favorita anche dalle dure lezioni dell’urlo e del bastone del maestro, lo conducono alla siglia dell’illuminazione (wu, satori).

    L’insegnamento Ch’an sarebbe stato trasmesso dal Buddha al suo discepolo Maha-Kasyapa sicché, attraverso una serie di 28 maestri, sarebbe pervenuto al maestro Bodhidharma che lo introdusse in Cina al tempo dell’imperatore Wu (502-549). Una serie di 5 patriarchi si avvicendarono alla direzione della scuola ed alla morte di questultimo (Hung Jen 675) la scuola si divise in due orientamenti :

        1. Spirito Universale di Shen Hsiu, che concepiva il Buddha come Spirito e l’illuminazione come evento graduale
        2. Scuola del vuoto di Hui Neng, che postulava l’instantaneità dell’illuminazione e che fu ammesso come ortodosso.

    Con i successivi tre patriarchi si verificò una singolare simbiosi fra Taoismo e Buddhismo che, a loro volta, influirono sulla letteratura e l’arte in Cina ; i testi della setta Ch’an, che fino a quel momento erano stati quelli canonici del buddhismo (Prajinaparamita, Lankavatara-sutra), si fondarono sempre di più sui detti dei suoi patriarchi, tra cui i più importanti sono : le Testimonianze sulla trasmissione della Luce, il Sutra nella versione del Patriarca, Raccolte di massime di antichi virtuosi.

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    Buddhismo in Giappone

    Fu introdotto, assieme alle istituzioni statali cinesi, nel 600 d.C. circa e costituì una rivoluzione paragonabile all’introduzione della civiltà occidentale tredici secoli più tardi. Si affermarono prevalentemente le due sette tantriche ed il culto di Amida.

    Le sette tantriche, Tendai-shu e Shingon-shu, avevano lo scopo di armonizzare lo spirito individuale in modo che, quei difetti innati che nella vita comune ostacolano l’illuminazione, si disciogliessero svelando gli archetipi universali della realtà. Eisai (1141-1215) introdusse la scuola Lin-chi che prese il nome di Rinzai ed ottenne subito un grande successo con il suo urlo e bastone, lo Ts’ao-tung fu importato da Dogen e chiamato Soto.

    Il culto di Amida (Amitabha) sosteneva che in quell’epoca di profonda corruzione morale le discipline meditative non erano più efficaci per salvarsi, e che l’unica speranza era di poter rinascere nella Terra Pura, invocando incessantemente il Buddha. Ovviamente ci furono delle trasformazioni di questo culto, tra cui il sostenere che la Terra Pura è una categoria dello spirito e ci si giunge trasformando la propria mente e la propria vita, ma non sono state sviluppate in questa sede.

    Lo spirito giapponese, naturalmente bellicoso ed incline a ridurre i problemi all’osso, accolse con molto favore non tanto la teoria quanto la disciplina di questo sistema meditativo che teneva in grande onore l’attività pratica e la devozione ; inoltre il rinunciare all’impulso egoico e quindi l’attaccamento alla vita, trovò nel samurai la perfetta incarnazione, lo Zen operò potentemente per togliere il timore della morte, fomentando il culto del bello, la contemplazione dell’armonia naturale anche nelle forme più precarie in modo da consentire quella compostezza dell’animo che rende la vita sopportabile e, allo stesso tempo, rinunciabile.

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    Buddhismo in Tibet

    In nessuna parte del mondo buddhista la Buona Legge è diventata una religione come nel Tibet, ove non solo si è conservato intatto l’antico retaggio indiano delle università di Nalanda e Odantapuri, ma anche il vastissimo corpus di commenti, a cui i saggi tibetani hanno contribuito con i loro studi e le loro esperienze. La religione, denominata lamaismo, ha una forte componente tantrico-magica, nata dalla simbiosi fra buddhismo mahayana, tantrismo e l’antica religione di carattere sciamanico Bon-po. Il primo insegnamento (750 circa) è quello regolare fondato sul sunya-vada e l’idealismo dello Yogacara, ma si dimostra troppo astratto per condurre all’illuminazione un popolo di pastori e guerrieri, che voleva avere certezze e soprattutto miracoli che lo convincessero della verità della nuova fede ; uno yogin himalayano, noto adepto del Tantra della mano sinistra, Padmasambhava riesce a spezzare il potere dei maghi bon-po ed a far accettare il credo buddhista. A causa delle vicende politiche, il buddhismo riesce ad instaurarsi definitivamente solo verso il 1000 d.C. per opera di due prestigiose figure : il tibetano Rin-c’en bzan-po e l’indiano Atisa ; questultimo, allievo di Naropa, tenta di costruire una scuola fondata sul Vinaya, tentativo poi realizzato dal famoso Tson k’apa tre secoli dopo ; e scrive La Lampada rischiarante la Via dell’Illuminazione, testo con cui ordina il progresso ascetico e l’uso dei Tantra secondo tre livelli, a seconda se si ricerchino la felicità in questo mondo, la purificazione personale o la completa liberazione. Inizia in questo periodo la codificazione sistematica del gigantesco Canone diviso in due parti : i sutra (la parola autentica del Buddha), ed il sastra (il commento dottrinale). Queste sono le sette e tendenze dottrinali principali :

    1. bKa’-gdams-pa (Coloro che seguono i precetti), scuola fondata sull’autorità dei Maestri, è severamente obbediente ai precetti del Vinaya (specialmente celibato) e costituisce la scuola centrale del buddhismo tibetano, frutto dell’insegnamento di Atisa.
    2. bKa’-rgyud-pa, fondata da Marpa (1012-1097) allievo di Naropa e Tilopa, puramente tantrica, rappresenta forse più fedelmente l’indole e le aspirazioni dei religiosi tibetani, molto più interessati agli esercizi pratici per la realizzazione dell’illuminazione che della dottrina. Tra i loro adepti vi è Milarepa, yogin e poeta autore dei canti Centomila, e tra le loro opere vi sono brevi manuali yoga tra i quali il gTun-mo, che è l’arte di generare attraverso la meditazione, calore.
    3. Si-byed pa (i Pacificatori), studiosi del Prajnaparamita che adattavano alla pratica Tantrica ; compivano una lunga pratica di purificazione per dissolvere le entità disincarnate, generate dai nostri pensieri erronei, dalle brame e desideri, che costituiscono l’ostacolo alla ascesi ; quindi attraverso mantra tentavano di trascendere la realtà oggettiva realizzando il vuoto.
    4. Sa-skya-pa, molto organizzata politico-socialmente, produsse altissime personalità di monaci e pensatori, ma l’eccessiva mondanizzazione e l’uso del potere la portò a frequenti lotte fra conventi.
    5. rNin-ma-pa (gli Antichi), che presume di essere l’erede diretta degli insegnamenti di Padmasambhava, e la cui organizzazione come setta buddhista risale solo al 1250. Distinguono due periodi della loro storia spirituale : quello della trasmissione diretta dei detti dei maestri indiani, e quello detto dei tesori sepolti, che sarebbero testi di età antichissime, per alcuni studiosi addirittura precedenti al Buddha ; tra questi il famoso Libro dei Morti (Bar-do t’os grol), che conserva notevoli analogie con simili testi egiziani (Libro dei Morti) e persiani (Artay Virap Namak) ; i fondamenti dottrinali sono comunque racchiusi nello rGyud abum, opera non compresa nel Canone in quanto reputata apocrifa dalle altre sette, mentre vengono ritenute autentiche e lecite le iniziazioni (dban) alla classe suprema dei Tantra, fra le quali quella della Maha-mudra (Grande Sigillo). Le facoltà magiche attribuite dal popolo ai monaci antichi, sono probabilmente dipendenti dal fatto che per molti anni questi monaci si confusero con i Bon-po, di cui assorbirono dottrine e tecniche dell’estasi ; sono soliti infatti praticare riti particolarmente terrificanti, come avviene in genere per le vie rapide del Vajira-yana, quale il cadere volontariamente in uno stato di morte apparente durante il quale l’asceta può trasferire il proprio principio cosciente a condizioni sovrasensibili in modo, ad esempio, di aiutare lo spirito di una persona defunta a districarsi dalle allucinazioni che la sommergono durante il bar-do, o a risuscitare una persona se appena morta. Nonostante la popolarità goduta, dotata di tali poteri, questa setta non riuscì a prendere il potere politico perché si scontrò con
    6. dGe-lugs-pa (virtuosi), organizzata e disciplinata setta che incarnò le istanze nazionali e politiche del Tibet. Fondatore e grande figura del buddhismo fu bTs’on-k’a-pa (1327-1419), che riformò la Buona Legge prendendo come dottrina centrale il sunya-vada, e rinnovò la regola monastica imponendo celibato, castità e obblighi crescenti a seconda del grado gerarchico rivestito. Nonostante la sua formazione Tantrica, egli affermò in ogni occasione la gradualità dell’illuminazione e la necessità della Regola e della Disciplina monastica. La setta venne definita Chiesa Gialla dal colore delle vesti, e dal terzo successore venne attribuito il titolo di Dalai-lama al suo capo, che viene considerato l’incarnazione del bodhisattva protettore del Tibet, Avalokitesvara, il Dio dallo sguardo misericordioso. Alla sua morte viene cercato un bimbo concepito entro i 49 giorni dalla morte, che rechi sul corpo i segni che ne attestino la divina incarnazione e che superi le prove di rito.

    Il ritiro della Gran Bretagna dall’India (1947) e l’avvento del comunismo in Cina (1949) segnano per il Tibet la fine di un periodo storico caratterizzato dal lamaismo come forma di governo, col trattato del 24 maggio 1951 il Tibet viene incorporato alla Repubblica Popolare Cinese e la disperata rivolta del 59 fu repressa con tale durezza da assumere un carattere di genocidio, con biblioteche date alle fiamme e monasteri distrutti, mentre il Dalai-lama fu costretto a fuggire in India, a Dharamsala.

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